27 Gen 2015

La UX di Schifano per Streets

"Don't make me think" il concetto di vita utilizzato per realizzare totem utili, interattivi e coinvolgenti

Realizzare l'interfaccia di navigazione per un totem interattivo non è del tutto simile a quella di un sito web, seppure lo sembri. Ci sono considerazioni banali come "Il totem è verticale" ad altre come il fatto che nessuno di noi ha tantissima dimestichezza con il cliccare su uno schermo, stando in piedi. Per questo c'è bisogno di più esperienza di design. E quella di Streets non è la prima per il nostro Maurizio Schifano di Hypebang. Diamo a lui la parola, che se ne intende.

 Qual è la caratteristica più interessante della user experience di una interfaccia come Streets?

Cerco di applicare il concetto di Steve Krug “Don't make me think” in tutti i progetti che faccio.
Quando ho affrontato la progettazione di Streets mi sono posto una domanda: "Cosa ti piacerebbe mangiare se venissi a Palermo?" Da questa domanda ho dato forma alle categorie dei prodotti da ricercare.
Giocando, poi, con la semplificazione e la grafica ho cercato di rendere l’interfaccia immediata.
Ho poi un mio mantra, molto semplice e coinvolgente: “Se funziona deve essere bello e se è bello mi deve piacere quando lo uso”

  Qual è il problema fondamentale nella progettazione per totem?

Quando progetto un totem faccio un esercizio di semplificazione, cioè riduco la quantità di informazioni che ricevo in qualcosa di visivamente tangibile. La difficoltà progettuale fondamentale è, paradossalmente, legata al "far usare il totem", far sì che la gente lo noti subito, che lo usi e che ne sia attratta anche a distanza. Tutto ciò è al servizio della funzione principale, che è quella di fornire nel minor tempo possibile le informazioni corrette all’utente.

 Come convinci gli ingegneri a fare quello che vuoi tu?

Nella mia vita ho lavorato e collaborato con diverse tipologie di ingegneri: gli estremisti, i cocciuti, i nativi di codice, quelli bravi davvero. Il problema non è convincerli ma trovare un linguaggio comune. Dopo di che, la cosa è in discesa: il segreto di un buon progetto è l’obiettivo. Quando un gruppo lavora e si concentra su un risultato ben definito, allora il lavoro diventa semplice.
Non esiste più il "creativo illuminato" che dice cosa si deve fare e come deve essere fatto, e forse non è mai esistito. Esiste, invece, un team multidisciplinare che mette in campo le proprie conoscenze per sviluppare soluzioni attendibili.
È così che convinco gli ingegneri: mi siede al loro fianco e li ascolto.